Ispirato a “Vi stupiremo con difetti speciali”
Mi è piaciuto questo titolo dato da un papà di una bambina autistica, presidente di una onlus, ad un articolo sull’inclusione scolastica che l’autore ha sapientemente vestito da favola. Perché ottobre è il mese della scuola e, ormai tradizione preceduta da grandi affanni, studiare strategie per sensibilizzare gli alunni all’inclusione dei compagni di classe disabili. Si comincia dal tentativo di non ferire, di non discriminare, sguardo cauto e passo felpato verso una realtà che potrebbe essere guardata con gli stessi occhi che guardano il resto del mondo, ma che assume i contorni di un problema che merita sì la massima attenzione, ma resta comunque un problema. La confusione nasce a monte, partendo dalla scelta del termine per indicare quel compagno diverso, che affonda nella deriva eufemistica e sfocia quasi sempre nel “portatore di handicap”. Quasi l’handicap fosse qualcosa di mobile, trasportabile, da poter portare con sé o, eventualmente, lasciare da qualche parte. Se solo si riuscisse a lasciare che i bambini, gli adolescenti e, perché no, gli adulti, si guardassero l’un l’altro oltre i confini di una diagnosi o di una presentazione speciale verso “il diverso”, potremmo sicuramente correggere il difetto di rifrazione di questa miopia sociale. Perché piuttosto che cercare sinonimi, dovremmo costruire risposte efficaci ed efficienti per tutti, visto che il valore assoluto dell’essere umano è la sua unicità per cui, di conseguenza, siamo tutti diversi. All’appello, ognuno in piedi a presentare la sua diversità e, chi non può, presenti la sua unicità rimanendo come può a partecipare all’esperienza scolastica. Magari rivestendo il ruolo di macchia di colore nel grigio della cosiddetta “normalità”, temine caratterizzato da mancanza di contenuti evidenziabili. Mi piace la definizione, in Achille “pie’ veloce”, del romanzo di Stefano Benni: “Se lei riuscisse a concepire nella sua testa una qualsiasi definizione di normalità in nessun modo io rientrerei nella sua definizione”.
Un cambio di sguardo, che non richiede comprensione ma amore, come spiega perfettamente Ennio Flaiano nel brevissimo racconto intitolato Cristo torna sulla terra: “…Un uomo gli condusse una figlia malata e gli disse: Io non voglio che tu la guarisca ma che tu la ami. Gesù baciò quella ragazza e disse: In verità, questo uomo ha chiesto ciò che io posso dare. Così detto sparì in una gloria di luce, lasciando la folla a commentare quei miracoli e i giornalisti a descriverli”. Un grazie a Luca Trapanese, papà adottivo di Alba, una bambina che, come tanti, merita di credere in un mondo inclusivo nonostante abbia davanti scalini molto alti, mai troppo se qualcuno la sorregge.
Tiziana Petrosino